Pagina:Speraz - Nella nebbia.pdf/144


— 142 —

chio finito anche lui!» — Altre volte erano saluti scambiati vivacemente con quelli che passavano e piccoli dialoghi gettati traverso l’aria. Poi ella si ripigliava tranquillamente: «Nel quinto mistero doloroso si contempla ecc., per interrompersi presto da capo.

Io intanto giuocavo o facevo le mie lezioni, libera di non pregare, come lei era libera di pregare a suo modo, giacchè la sorella maggiore non interveniva con la sua devozione imperiosa.

Malgrado ciò, io ero molto più infelice in città che in campagna. Non potevo scappare: il portone era sempre chiuso, e quand’anche non fosse stato chiuso, io non avrei osato uscire sola, senza cappello, vestita da casa. Ero già schiava delle abitudini e della vanità borghese.

Le ore del pranzo e della cena erano le più tristi.

Quei pasti consumati nel freddo tinello, erano troppo spesso turbati dalle parole dure del vecchio e dalle lagrime mal represse della marchesa.

Strana cosa: quella vecchia così severa e che io avevo considerata tante volte come la mia persecutrice, era non soltanto una sventuratissima moglie, una madre orbata dell’unico figlio, ma ben anche un’anima estremamente sensibile, di una tenerezza quasi morbosa.

Quel tinello freddo, umido, scuro, dalle pareti mangiate dal salmastro, le dava sui nervi. Forse le rammentava più fortemente la perdita irreparabile del suo diletto figliuolo.

Le parole dure del vecchio erano sempre provocate dalla tristezza di lei. Vero tiranno egli avrebbe voluto che la sua vittima sorridesse e dimenticasse: quella tenacità di rimpianti lo irritava come un continuo rimprovero.