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Intanto le due vecchie rimaste a casa si bisticciavano rinvangando immancabilmente il passato. Zia Teresa, la sorella maggiore, che aveva sempre una certa autorità sul carattere debole della minore, brontolava sarcasticamente.

— Ecco il bel frutto di quello che avete fatto voi! Se non aveste dato nostra nipote (mia madre) a quello zingaro eretico (mio padre) di quel dalmatino, non avreste questo flagello (io stessa) che ci farà dannar l’anima a tutte e due!...

Debolmente zia Elena si difendeva. La ragazza, figlia del loro comune fratello, era stata affidata a lei, perchè non aveva figliuoli propri, e lei non aveva pensato altro che alla felicità di quella sua prediletta. Sapendo per esperienza a quanto male approdassero i matrimoni senza amore, aveva creduto bene di lasciarle sposare l’uomo che amava!...

Ma la marchesa crollava il capo in aria di compassione sprezzante.

— Bell’amore, sì; l’amore di un barbaro, di un miscredente che l’ha fatta morire!...

Quando rientravo in casa, se la bega era stata molto forte, zia Elena, che non aveva potuto sfogarsi con nessuno, si sfogava sopra di me, ed io potevo misurare l’intensità della sua collera concentrata, sull’intensità dei pizzicotti che mi regalava.

Le sole ore in cui la casa non mi dispiacesse erano quelle della siesta, dalle due alle cinque.

Appena finito il desinare (si desinava verso il tocco) i tre vecchi si ritiravano nelle rispettive stanze; le finestre si chiudevano. Le due sorelle dormivano in due camere vicine; il marchese, che da lungo tempo non se la intendeva troppo con la moglie, si era ritirato, fra i granai e la ser-