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86 nell’ingranaggio


— Ora vivono tutti e quattro insieme in buonissimo accordo a quanto pare — concluse Giovanni — e, dato il mondo com’è, sarebbero persone di spirito, se non si rendessero ridicole con la smania di santificare la loro posizione, dando a bere ai gonzi che i danari li ha guadagnati il sor Petrino con le sue imprese teatrali e che il figliuolo è proprio suo, perchè la sua Clelia, una vera santa, gli ha sempre perdonato le sue scappatelle e non ha mai mancato ai propri doveri.

— Buffoni! — esclamò a guisa di riepilogo, dopo un momento di silenzio.

— Perchè dici così? — domandò Edvige scattando. — Niente più buffoni loro di tanti altri. Prima di tutto tu non hai raccontato con esattezza: la signora Clelia non ha convissuto mai con nessuno durante le assenze di suo marito, il quale, passando per Milano, andava sempre a farle visita; e il figliuolo ha sempre portato il nome di lui, e lui non ha mai protestato; se pei lei, povera donna abbandonata, aveva trovato un amico, un protettore, questo non riguarda nessuno. L’affare dell’eredità fu tenuto segretissimo: noi l’abbiamo saputo per caso, e in pubblico abbiamo sempre fatto le viste di non saperlo: così fanno certamente anche gli altri, se lo sanno. Perchè, fino a prova del contrario, cioè, finchè non succede uno scandalo qualunque, la società è tenuta a credere quello che essi dimostrano e che è un omaggio per le sue leggi. Il resto è maldicenza: una maldicenza a cui ciascuno può credere in particolare, ma che tutti trovano giusto di rifiutare in pubblico; tanto più che in fondo si tratta di buone persone, incapaci di far male