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nell’ingranaggio 81


Questo non avrebbe che ferito il suo amore, dato che ne avesse avuto per lui; quello che accadeva invece, pungeva il suo amor proprio. Malgrado ciò, dissimulava abilmente. Suo marito in quei giorni le aveva recato un dispiacere molto più grave; aveva dubitato dell’onestà dell’avvocato Anselmi, e fatto licenziare il direttore dello stabilimento industriale di ferramenta e macchine.

Con questo spediente, ed essendosi buttato al lavoro con la furia di un disperato, non permettendo che si concludesse un solo affare senza averlo studiato, sorvegliando tutto, sperava, se la fortuna gli sorrideva, di poter salvare sè stesso e lo stabilimento medesimo dalla catastrofe che li minacciava.

Ma l’Avvocatino se l’era, come si suol dire, legata al dito. Già non metteva più piede in casa: e quando Edvige, tormentata dalla sua passione, che le difficoltà rinverdivano, andava a trovarlo nel quartierino da scapolo elegante, di cui teneva ancora la chiave (con rabbia grande di lui), invece dell’amore ch’essa cercava, non riceveva che rimproveri, sgarbi, minacce.

Una volta, Gilda la vide rincasare pallida come una morta, con gli occhi rossi, il viso sfatto, invecchiata di dieci anni. Un’altra volta, Lea le raccontò che la mamma piangeva, chiusa in camera.

In tali casi pensava: forse è per colpa mia!... E poi subito: che! che! sarà per il suo caro Paolino.

Ma la coscienza le suggeriva di allontanarsi, in tutte le maniere, dicendole che quella non era più casa per lei; che lei vi faceva una parte falsa,