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nell’ingranaggio 77


— Che importa affannarsi sui capricci della Borsa, — continuava egli a dire in quel nuovo lirismo ispirato dall’eccitamento nervoso: — che importa vegliare le notti, logorare l’esistenza nell’aridità delle cifre, perdere gli amici che ci rubano e quelli che derubiamo alla nostra volta, incartapecorirci giorno per giorno, tutto per avere il gusto di spendere, male, centomila lire l’anno mentre si può vivere benissimo con seimila?

Quello che importa, Gilda, adesso lo vedo e lo so: è l’amore! Avere la festa dell’amore tutti i giorni, aprire gli occhi per amare, addormentarci amando: vivere nell’intensa adorazione di una creatura e renderla felice: questo è il sogno, Gilda, questa la più bella realtà che un uomo possa concretare.

Gilda ascoltava palpitante questo linguaggio così nuovo per lei, eppure così famigliare alla sua fantasia.

Le balenò veramente il pensiero di ciò che avrebbe dovuto dirgli: che lui aveva una moglie bella, desiderata, una bimba adorabile, che l’amore non gli mancava, anzi era raddoppiato, e che per quelle sue care doveva mantenere nella sua casa l’agiatezza, il lusso a cui erano avvezze.

Ma queste parole convenzionali non vollero uscirle dalla bocca.

Invece, quasi a insaputa di lei, le sue labbra sospirarono:

— Oh! l’amore è un tormento!

Egli si scosse tutto, e tremò come se ella lo avesse baciato.

— Anche tu, angelo?... anche tu soffri?