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nell’ingranaggio 65


— È così che vivono, loro? — mormorò a fior di labbro, formulando la muta interrogazione che la sua coscienza offesa rivolgeva a sè stessa.

Lo spettacolo della dissimulazione in mezzo alla quale viveva da parecchi mesi, non l’aveva ancora colpita con tanta crudezza.

Era un disgusto supremo, che le saliva improvvisamente alla gola. Tutti mentivano. Anche quei due uomini onesti, quel giornalista e quel professore, i quali soffocavano la ripugnanza, che certo sentivano, per quel ladro e traditore, trattandolo gentilmente, scherzando con lui come con qualunque altro, e guardandosi bene dal dire una parola rivelatrice al tradito. Tutti erano complici nell’inganno, o con l’attività dell’interesse o per semplice inerzia, o per civiltà.

Lui stesso, Giovanni Pianosi, l’uomo che in quel momento le pareva il solo giusto, il solo buono e generoso, aveva forse ingannato o ingannava.

L’inganno, forse, era una legge cieca e codarda, a cui nessuno poteva sottrarsi: il tributo che ciascuno doveva pagare alla vita sociale.

Lei stessa vi si sottometteva, senza avvedersene. Perchè non andava direttamente da quell’uomo e non gli raccontava quello che aveva sentito?... e veduto?...

Non era giusto forse? anzi doveroso?...

Perchè tacere? Perchè lasciare una così completa impunità a quei due traditori?

E la impunità dei traditori era ancora poco: si trattava di salvarlo, lui, da un pericolo imminente!

Si levò in piedi, non più debole, non più spossata: sostenuta da una forza nervosa, sicura di quello che intendeva fare.