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nell’ingranaggio 53


Qualche volta quell’allegria le pareva finta. Essendo sempre occupata di lui, e osservandolo attentamente, lo vedeva talvolta rannuvolarsi. I suoi lineamenti prendevano allora una espressione severa; una amarezza impercettibile contraeva gli angoli della sua bocca.

Di tratto in tratto egli alzava il mento largo e poderoso con un gesto particolare e guardava le persone per disopra le spalle. I suoi occhi grigi di solito così freddi e chiari, avevano dei lampi.

Gilda, qualche volta, rabbrividiva.

L’atmosfera piena di elettricità di quell’ambiente aveva agito sulla sua fibra troppo sensibile. Le pareva che da un momento all’altro dovesse succedere un avvenimento drammatico, enorme, che avrebbe mandato all’aria tutta quella falsa apparenza di pace; e in tale aspettativa ogni piccola sorpresa la faceva trasalire.

Intanto i giorni passavano in una monotonia pesante. Venivano le solite visite, meno l’Anselmi, che non si era più lasciato vedere.

A volte, quando era sola nella sua camera, con Lea che giuocava, le veniva il dubbio che tutto il romanzo in cui le parea di vivere fosse una fantasmagoria del suo cervello: che le parole di Giovanni non avessero avuto alcun significato particolare, che i due sposi vivessero insieme nella più perfetta cordialità e che l’Avvocatino non fosse altro che un amico di casa; un bellimbusto senza conseguenza. Un vago malessere le faceva diffidare di sè: il suo cuore inoperoso e la fantasia troppo attiva, potevano avere architettata tutta quella favola, fondandola sulle vuote chiacchiere della cameriera. Ma se per un momento