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sempre in campagna coi Minelli, e la nuova governante non era ancora arrivata.

Ella si trovava dunque perfettamente libera e non credeva di dover nulla a nessuno. Scrisse all’Anselmi che lo avrebbe aspettato; e ci andò, dicendo in casa che andava a prendere Lea.

Nemmeno Lauretta potè mai sapere precisamente quanto rimasero insieme, nè che promesse si fecero, nè in qual modo si lasciarono. Edvige tornò a Milano con Lea dopo quattro giorni. Si diceva contenta; ma di tratto in tratto rivelava una certa inquietudine. Gli è che per un momento ella aveva avuto paura non solo che arrestassero l’Anselmi ma di essere arrestata insieme a lui. Era stata una di quelle paure chimeriche, tanto comuni alle coscienze turbate; tuttavia, il diaccio di quel momento, le serpeggiava ancora qualche volta nelle ossa, e la faceva rabbrividire.

Finalmente nel dicembre arrivò una lettera dall’America: egli era salvo e tutto andava bene: in meno di tre anni sperava di diventare milionario. Intanto, come era convenuto fra loro, non le avrebbe scritto più per non rischiare di comprometterla, nè di compromettersi inutilmente.

Dopo ciò ella si staccò moralmente dal suo passato, come da una zavorra impacciosa, e trovò nel suo egoismo ferrato, nella intensa volontà di vivere e di godere, la capacità di essere, non soltanto di parere, così serena e tranquilla, quale era necessario che fosse e tutti potevano vederla in quel primo giorno dell’anno.

Ora entrava in una nuova via, o meglio era arrivata in porto. E se è vero che molti facciano pro-