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nell’ingranaggio 263


— Tutte! tutte! — ripeterono le altre.

Gilda tacque vergognosa di essersi vergognata e di aver lasciato scorgere questo sentimento.

— Devo andarlo a provare? — domandò per sottrarsi a tutte quelle curiosità.

— Sì, brava. Enrichetta, accompagnala nel camerino accanto al tuo che è disoccupato disse Villa del Ferro alla Cantonieri.

Mentre loro si allontanavano, seguite dalla Delfinoni e dalla Giannelli, arrivò sul palcoscenico Clelio Arrisi, il noto romanziere e commediografo.

Era un uomo alto, molto alto, sottile, sebbene l’età avesse alquanto mitigata la sua magrezza; dall’aspetto signorile, distratto, miope. Portava il pince-nez; vestiva bene senza affettazione. Moralmente apparteneva alla classe dei gaudenti bonari, dei giovinotti eterni, che non cambiano vizio nè pelo. Diffatti il suo pelo era sempre scuro, quantunque gli amici sostenessero che si tingeva. Ma lui, si diceva seccato di non incanutire, appunto per questa persecuzione degli amici, e raccontava di avere cercato, dai parrucchieri più in voga, una tintura grigia. Avrebbe fatto volentieri il rovescio di quello che gli rimproveravano: disgraziatamente, nessuno aveva ancora pensato a inventare il modo di parer vecchi prima del tempo!

Gli amici pure raccontavano che era stato ricco e che aveva sciupato due patrimoni. Ma lui non aveva l’aria di rammentarsene, nè di rimpiangere il passato. Piuttosto si compiaceva di avere goduto; e, se poteva illudersi che quel bel tempo non fosse finito, tanto meglio.

Appena salutati gli amici domandò notizie della prima donna che era indisposta.