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256 nell’ingranaggio

tanti d’ogni nazione... e chi sa cosa altro ancora!

Il teatro è in fondo alla seconda corte ed occupa il posto di una terza.

Dalla strada chi svolta per entrare vede davanti a sè, nello sfondo una porta chiusa a vetrate, sulla quale si ripete la leggenda: «Teatro Milanese.»

Gilda si mise nell’andito, traversò un cortiletto, passò sotto una specie di portico e si trovò nel cortile maggiore, di fronte alla porta vetrata.

Davanti a lei camminava affrettando il passo una coppia giovane, con una bimba piccina piccina, che saltellava per non rimanere indietro.

La donna era una figura snella, non grande, brunetta, dal naso affilato, dagli occhi vivi; l’uomo, figura media, sottile, tutto pallido, dai capelli agli occhi, con i zigomi marcati dalla magrezza, una barbettina povera; molto corretto: vero tipo da maestro di pianoforte. La bimba poteva avere tre anni, portava le sottanine corte corte, un manicottino pendente sul petto, nel quale si guardava bene d’infilare le sue manine paonazze, e in testa un cappuccetto a monachella di raso rosso splendente.

In quella vicenda di penombre e di luce piovente mite dai tetti elevati, Gilda seguiva con simpatia la macchia fulgente del cappuccetto rosso...

Dietro a lei, qualcun altro affrettava il passo: questi la sorpassò, la guardò fisso, poi s’avvicinò famigliarmente alla piccola famiglia. Era un uomo alto, robusto, giovane ancora, chiuso in un paletot grigio tutto abbottonato, che gli scendeva fino