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e di bassezza in bassezza, con la illusione di rialzarsi quando che sia e risalire in alto, nello splendore del lusso, nella gloria dell’arte. Le pareva di vederle tutte quelle infelici deluse, con le braccia protese ansiosamente verso il teatro, sprofondare nelle nebbie, nella notte nera della miseria, mentre in alto saliva un coro di voci stonate, imprecanti, tra le quali distingueva il sibilo penetrante della Rumena, l’urlo indefinibile della baronessa Tekel, qualche buona nota della Neotieff, lanciata con impazienza, e il sordo brontolio del capitano garibaldino, che dal fondo del suo letto disputava accanitamente con un ostinato creditore della Farinola.

E la immaginazione non mancava di rappresentarle anche la figura atticciata della vecchia Contessa la quale se ne stava in silenzio con i suoi occhi bruciati, su cui passava ogni tanto una pezzuolina di tela fine davanti al creditore, obbligato a vergognarsi di avere fatto piangere una signora così distinta e sensibile.

Lei pure era di quel mondo! Lei che era nata con un orrore istintivo della volgarità: che avrebbe voluto salire alle più ardue altezze del pensiero, della poesia; inebbriarsi dei più alti ideali; contornarsi di tutte le eleganze, di tutte le squisitezze; essere di tutte le aristocrazie; lei, che portava in sè concentrato e purificato, come in un crogiuolo, il grande bisogno ereditario della sua classe, della sua famiglia: bisogno di sollevamento, di espansione, per cui ora si agitano tutte le classi conculcate, come se volessero godere rapidamente, violentemente, tutte le soddisfazioni da cui furono tenute lontane per secoli e secoli;