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nell’ingranaggio 229


— Dice che farei bene a mettermi a recitare... E io trovo che ha ragione.

— Ah?! Ah?!... E tu trovi che ha ragione? Non me l’aspettavo!...

Egli si sciolse dalle sue braccia e si rannicchiò tutto nel suo cantuccio.

— Perchè vai in collera, Giovanni? Che cosa c’è di male in questo? Bisogna bene che io mi guadagni da vivere, che mi faccia una posizione... quella di attrice mi pare la più libera, la più.... conciliabile...

Egli strinse i denti con un moto nervoso. Poi, voltandosi bruscamente verso di lei:

— Ma io cosa sono per te? — gridò. — Nulla?

La prese per le braccia e la scosse tutta come se avesse voluto spezzarla.

Ella rimase mortificata, senza poter parlare, senza difendersi.

Anche lui tacque, chetandosi improvvisamente, guardandola di sottecchi, confuso e preso da vergogna per essersi abbandonato ancora una volta a quei ciechi impeti di collera, lui che era stato sempre così calmo e padrone di sè prima di quel tempo.

Ma il medico aveva detto che il disordine nervoso sarebbe stato lento a passare, e che quegli scoppi erano gli ultimi attacchi del nemico, non interamente distrutto.

Quando lo vide più tranquillo, Gilda lo baciò in fronte e riprese il discorso oramai avviato, e che le premeva di condurre a termine. Disse che lei non aveva preveduto che gli dovesse dispiacere così. Si trattava del teatro Milanese, dove suo padre aveva trovato un impiego presso all’attrezzi-