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Egli sorrise difatti, ma in quella maniera speciale che giustamente si dice amara.

— Tu sei tanto buona, Gilda mia, — disse baciandola sulla fronte e sugli occhi, - tanto buona, che se non fossi già tutto preso d’amore per te, dovrei amarti soltanto per questa tua immensa bontà. Ma la mia posizione di faccia a te è appunto per questo molto umiliante. Senza contare la tristezza che mi entra nell’anima, l’affanno che mi piglia solo pensando che tu vuoi andartene domani e ch’io non ho il diritto di trattenerti e che invece di vivere felice con te, di amarti alla luce del sole, di chiamarti mia, di farti rispettare, dovrò contentarmi... oh! no, no! Non parlarmi di rassegnazione, non cercare di giustificarmi: se non mi libere adesso, se non riesco a mandarla via a fare questo divorzio e poi a sposarti, sono un miserabile vigliacco e non merito che tu mi ami!...

Dicendo questo egli era balzato in piedi con impeto, come se avesse riacquistate in un momento tutte le sue forze per quell’impulso di collera e di passione.

Le sue mani tremavano, il sangue gli era salito alla fronte. Camminava a grandi passi su e giù per la stanza urtando con impazienza i mobili, battendo coi pugni sulla scrivania.

Gilda, spaventata, cercava di ammansarlo.

— Amore mio! — gli diceva, — ti prego, non fare così, ti fai male, il medico ti ha raccomandato la calma. Se fai così ti può ritornare la febbre... puoi ricadere!

— È quello che desidero! Se non puoi stare con me altro che quando seno in pericolo di mo-