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222 nell’ingranaggio

a star sola, sulle camere ammobiliate, la sgomentasse un poco. Ma poi pensò che se doveva recitare, tant’è, doveva anche avere una certa indipendenza e stare vicino al teatro.

Si baciarono ancora nel separarsi, e Gilda fu molto più affettuosa di una volta.

Tanto che nell’andarsene Caterina Mauri pensava:

— È proprio cambiata, poverina! pallida come una santa di cera e buona, umile, come non me la sarei mai figurata.

Ritornando in camera, Gilda trovò il convalescente in piedi sulla soglia con una mano appoggiata allo stipite dell’uscio.

Il suo viso smunto e abbattuto dalla malattia aveva una espressione di patimento, che si dilatava nei lineamenti contratti, nelle carni flosce. I capelli e la barba, allungati oltre il costume aumentavano il suo pallore e gli davano un’aria strana di personaggio romantico.

Gilda notò per la prima volta la profonda trasformazione ch’egli aveva subita, e che l’affanno di quel momento rendeva più rimarchevole.

— Sei stato troppo in piedi — gli disse accostandoglisi con premura — hai fatto male!

E sostenendolo dolcemente lo condusse a sedere guardandolo con ansietà, accarezzandogli le mani fredde.

Quando fu seduto gli accomodò i guanciali dietro la schiena e gli fece appoggiare la testa.

Egli si lasciava fare, fissandola con uno sguardo intenso, indagatore e interrogativo.

Ella sentiva il peso di quello sguardo, e cercava di ritardare il momento in cui avrebbe dovuto rispondergli.