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nell’ingranaggio 221


— Gilda! — egli disse: — non mi lasciare ancora!

Ella si buttò nelle sue braccia con gli occhi pieni di lagrime.

Rimasero così un momento, stringendosi convulsamente, in una frenesia di amore e di angoscia.

Finalmente Gilda andò da sua zia che l’aspettava ansiosamente. Il loro colloquio fu breve.

— Come sei dimagrata! come sei impallidita!

— non si saziava di ripetere la buona donnetta:

— povera la mia creatura, come ti hanno ridotta!

Gilda cercava di calmarla, incalzandola a dir su presto quello che aveva a dirle.

Quando le ebbe ripetuto, con qualche divagazione e diversi commenti, il dialogo che aveva avuto con la contessa Vimercati, Gilda restò un momento assorta nelle sue riflessioni, poi disse:

— Sta bene. Avevo già stabilito fra me di andarmene. Di’ al babbo di far parlare al signor Villa del Ferro, che poi mi presenterò da me. Il consiglio della Contessa è buono. Voglio avere una posizione indipendente.

Si erano già salutate, e zia Caterina stava per andarsene allorchè Gilda la richiamò.

— Senti, — disse — dopo tutte le chiacchiere che si saranno fatte nel vicinato, io non voglio ritornare nella tua casa. Qui hai trenta lire, fissami una camera ammobiliata, qui intorno al centro, e vieni a prendermi domani dopo mezzogiorno.

La povera vecchia non fece opposizione, sebbene l’idea che la sua cara Gilda dovesse andare