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ultime visite, quando lui le diceva tante cose amare. Voleva rivederla assolutamente: era un bisogno irresistibile che la afferrava, che la spingeva.

Cercò nell’armadio un cappellino di paglia nero con velo di garza grigio poco trasparente, e un lungo dolman di lana leggera che le copriva tutta la persona, e fu pronta.

Attraversando l’anticamera disse al domestico che andava a pranzo fuori e scese le scale rapidamente, riprovando quel senso acuto di voluttà e di paura, che l’aveva accompagnata ai suoi primi appuntamenti.

XIII.

Intanto la contessa Vimercati tenne parola.

Una di quelle mattine un domestico in livrea portò a zia Caterina l’ordine di recarsi, nello stesso giorno, fra il tocco e le due, presso la sua benefattrice.

La povera donnetta vi andò e ne sentì di tutti i colori sul conto della sua Gilda; la Contessa non si tratteneva di chiamarla una sfrontata, una intrigante, che si era introdotta una seconda volta in casa del Banchiere per allontanarlo dalla moglie — la quale poverina era infelicissima e passava la sua vita in lagrime, causa quella pettegola. Ma non bastava: col pretesto che lui era malato, e che lei lo assisteva, si era piantata nella sua camera e non ne usciva più, tanto che la povera moglie non osava nemmeno entrarci. In fine un soggetto di scandalo per tutta la casa.

La Caterina, che non aveva più sentito nulla di