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212 nell’ingranaggio


— Tutto causa quello stupido di Santini, che non ha fantasia per distrarmi, nè tanta anima da ubbriacarmi! mormorava crollando il capo con un movimento di disgusto.

Perchè si era data, lei, a quell’uomo?

Non aveva alcuna scusa.

Era stato un giorno di noja immensa. Un giorno in cui il cugino di Pavia era rimasto là due ore, a farle delle prediche e a sputacchiare sul tappeto. Lea che si ammalava di malinconia nella casa silenziosa, era andata via con Rosa Minolli; c’era stato un consulto; la Sabina l’aveva esasperata. E quel Santini, per combinazione, quel giorno aveva avuto spirito! Aveva fatto la caricatura del cugino di Pavia, con tanto garbo.

Poi avevano desinato insieme ed egli l’aveva fatta ridere ancora. Pareva tutto un altro uomo, quel giorno!...

Se n’era pentita subito, però. Non era proprio rimorso quello che provava; ma una impressione fastidiosa, somigliante al ricordo di quelle camminate interminabili che faceva da ragazzetta coi suoi genitori, per le strade fangose, con gli stivalini pieni d’acqua, le sottane inzaccherate che le battevano sulle gambe, e una stanchezza accasciante in tutte le membra.

Seriamente si metteva a riflettere sull’uso che doveva fare della sua seconda giovinezza, di quel tesoro che le pareva di aver scavato, e che le premeva di non sciupare, di non spendere male in un cumolo di sciocchezze e d’immagini disgustose o scialbe.

In fondo al cuore, lentamente, si svegliava in lei un senso di ribellione contro il possesso brutale dell’uomo.