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Gilda si asciugava gli occhi e cercava di rimettersi.

— Povera figliuola! — ripigliava la cameriera, non facendosi caso del suo silenzio: — Lei è pure sfortunata come me!

In altri tempi questo paragone avrebbe forse urtato l’orgoglio di Gilda Mauri, ancora tutta fiera de’ suoi studi e delle sue aspirazioni elevate; ma adesso, era tanto abbattuta, che l’essere compianta, anche dalla Sabina, le riesciva quasi dolce.

Tuttavia quest’ultima disse:

— Non se ne stupisca se la paragono a me: parlo di vent’anni fa! Allora ero giovine anch’io, non bella come lei, ma fresca e piacente. E anche io avevo fatto un bel sogno, che volò via, come il vento. O Gilda, creda a me, le ragazze povere, buone e semplici, sono sempre calpestate. Le furbe vincono. Vincono sempre loro!

Ella tacque un momento guardando la giovine che si era messa a sedere da piedi del letto e ascoltava con quell’aria trasognata, propria di chi si concentra in un solo pensiero.

— Ebbene! — riprese cambiando tono, quando si accorse che era affatto inutile aspettare una qualche domanda da quella creatura tormentata. — Sa lei che cosa faccio io adesso?

Gilda la guardò con meraviglia, poi si strinse nelle spalle, con l’atto di chi non sa e non è curioso.

— Me ne vado da questa casa.

Questo annunzio ebbe la potenza di strappare una esclamazione alla giovine.

— Oh! lei?...