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alludendo alla commedia d’un suo collega che aveva fiascheggiato al Manzoni.

Il Commendatore osservò che quel Crivelli era un bravo figliuolo, ma che aveva delle idee storte.

— Ecco. — disse volgendosi principalmente a Edvige, — io lascio da parte la quistione artistica, non è di mia competenza...

Edvige lo interruppe con un gentile: — Oh! Commendatore, altro che! —

Ma egli ripigliò:

— No, no, signora, dico la verità: pur troppo, le gravi occupazioni della mia vita non mi hanno lasciato il tempo di studiare l’arte come si merita. In compenso però, credo di poter dire la mia opinione nel campo, dirò così, delle idee, della sostanza, mi spiego?... Ed è appunto la sostanza, la cosa a cui lo stesso Crivelli dà maggior peso, quella in cui penso di avere abbastanza autorità a criticarlo.

Edvige fece un piccolo cenno affermativo, mentre si preparava ad ascoltare con quell’attenzione intensa, che tanto lusinga chi parla.

Intorno a lei i giovani pure ascoltavano.

Il Commendatore continuò:

— Ma le pare, voler far credere nientemeno che i possidenti lombardi non hanno sufficiente cura dei loro contadini! che questi soffrono, che stanno male, come se i padroni non fossero pronti a soccorrerli in tutti i loro bisogni! Come se i signori milanesi non facessero le più grandi beneficenze di tutta l’Italia e anche di fuori — lo posso dire io che nel mio viaggio recente ho potuto fare qualche osservazione anche all’estero! Le chiacchiere sono chiacchiere; ma le idee per le