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nell’ingranaggio 157

con quell’aria di riserbo altero, quasi di ostilità, in cui tante volte si nasconde il principio di una simpatia, che potrà essere capriccio o passione.

Vicino ad Edvige sedeva già da un quarto d’ora, il commendatore Bardaniti, uomo alto e ben disposto, dal petto largo, i capelli di un biondo ritinto opaco. Questo personaggio importante, presidente di un Istituto di Credito, ritornato recentemente da un viaggio diplomatico a una Corte straniera, passava per uomo colto e aveva una bella fama di puritano, ch’egli sapeva mitigare con una paterna indulgenza.

Edvige conosceva questa indulgenza e ne taceva gran conto.

— Avete veduto Adriani? — domando il commendatore all’ingegnere Santini, — con una vocetta da tenore di grazia, che faceva sorridere. Questi rispose che non l’aveva veduto; poi disse:

— Dev’essere andato a Roma, altrimenti a quest’ora sarebbe qui.

Edvige sorrise.

— S’inganna, — disse, — Adriani non viene mai a trovarci quando sa d’incontrarsi con molto persone: è sempre un po’ rustico.

— Oh! rusticissimo! — osservò Michele Krauschnitz, che non lo poteva soffrire.

Tutti risero, anche il Commendatore, il quale disse:

— La sua ultima commedia non è piaciuta; io ero allora a Vienna, l’ho letto nei giornali; ma egli si preparerà presto una qualche rivincita.

— Non così il povero Giuseppe Crivelli, — osservo malignamente il consiglier Ferri, mentre s. accarezzava i capelli della nuca con un gesto molle,