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La signora, che stava appunto notando la somma ben calcolata di una riscossione, s’interruppe e guardò il marito in aria brusca.

— Non basta il capitale impiegato in questa giostra che ci darà un forte interesse, in ogni modo, sempre? Come la intendi? Non vorresti più mandar denari a Ninì? Mancherebbe! Povera figliuola, come dovrebbe fare a vivere?... Oh! Non si possono dire simili cose.

Come sempre quando toccavano quest’argomento, i due coniugi continuarono un pezzo il diverbio.

In fondo erano d’accordo.

Nini, la magnifica bionda, frutto dei loro amori, rappresentava per tutti e due lo scopo supremo della esistenza. Per lei avevano lavorato come negri negli anni belli della giovinezza; per lei messi da parte i soldi e i fiorini. Solo dal momento in cui ella si era maritata, contro la volontà del padre, con un supposto nobile ungherese, supposto addetto all’ambasciata austriaca a Berlino, i due buoni diavoli non si raccapezzavano più. La madre credeva fermamente in quell’ambascieria del famoso conte Geisberg; il padre, poco, quasi nulla.

E poi, essi erano divenuti proprietari di quella giostra mediante una operazione ardita; e il grosso capitale non era finito di pagare, e se le cose andavano storte, potevano anche precipitare.

— Ah! se Ninì avesse sposato uno dei nostri! —