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gente ignota, in una povera casa di contadini; ignominiosamente celato.... Sei madre, ami la tua bambina, devi bene intendere quello che ho sofferto!... Oh! devi versarne tante delle lagrime, per smorzare il fuoco che mi brucia!... (Si butta su una sedia, spossata, singhiozzante).

Il bambino (di dentro). — Mammina!... Non vai all’ufficio? È l’ora! Cesarino vuol darti un bacio prima che tu vada. Mamma.... zia!... Apri, dunque!

(Lina si alza, si rasciuga gli occhi, cerca di ricomporsi, e corre in camera a prendere il cappello e il mantello.

Nel frattempo anche l’Erminia si leva in piedi, movendosi a scatti, come spezzata.

Lina rientra, depone mantello e cappello sopra una sedia e comincia a vestirsi, con quel fare automatico di una persona che pensa a tutt’altro.

Il bambino continua a chiamare dalla cucina, picchiando all’uscio. Si sente la voce della vecchia che lo ammonisce di stare zitto).

Erm. (dopo di essersi asciugati gli occhi e ravviati i riccioli sulla fronte, con evidente preoccupazione di cancellare ogni segno di disordine dalla sua persona, si accosta a Lina). — Un’ultima domanda. Avendo le prove del mio fallo, per quale incomprensibile generosità, non le mandasti a.... mio marito?

Lina. — Incomprensibile generosità!... Hai ragione: incomprensibile per te. Ecco: sapevo che egli avrebbe sofferto, e mi è mancato il cuore di farlo soffrire. D’altra parte, ho giurato a Laura di non servirmene, altro che in un caso estremo.

Erm. (dopo un momento di silenzio). — Allora, rendimi quelle lettere.... sii completamente generosa.

Lina. — Ah! questo poi no. Sono madre e devo difendere la mia creatura.

Erm. — Cosa vuoi fare?

Lina. — Voglio che Ernesto riconosca suo figlio, Il bimbo è nato prima che egli ti sposasse, dunque può riconoscerlo.

Erm. — Ma io non lo permetterò mai.

Lina. — Oh! tu lo permetterai, invece! Se mi osteggi.... Hai capito?