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Ma appena passata una settimana, scrisse che doveva ritornare assolutamente, che davanzo l’arrebbe perduta presto, che non voleva gli si togliessero anche que’ pochi giorni che gli rimanevano da passare vicino alla sua cara nipote, alla pupilla de’ suoi occhi; e molte altre cose scrisse.

Emilia ritornò una sera di sabato, la vigilia delle Pentecoste.

Le campane chiacchierine della parrocchia la svegliarono di buon mattino, il giorno dopo il suo arrivo. Tutta la campagna pareva in festa: s’alzò col cuore pieno di gioia: sapeva che avrebbe incontrato Cesare alla messa.

Stava vestendosi allorchè la cameriera entrò con un magnifico mazzo di rose, di tutte le grandezze e di tutti i colori, un mazzo degno di ricevere il primo premio a un’esposizione d’orticoltura.

— Oh che belle rose! E ben Cesare che le manda? esclamò l’Emilia scendendo dal letto con un salto di gioia.

— No, signorina, rispose la cameriera un po’ mortificata di dover dire una cosa contraria al desiderio della sua padroncina. Le manda il signor Arturo.

— Il pedante?