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Il cielo era bello e stellato, davvero, il mare limpido e liscio lambiva mollemente la sponda. Era di marzo. I primi venticelli tepidi della vicina primavera accarezzavano i visi dei due innamorati. Erano in quel medesimo salottino, vicini alla stessa finestra aperta dove si erano parlati l’ultima sera prima della partenza di Cesare.

I cittadini ricominciavano le loro passeggiate interrotte dai crudi venti invernali, e una quantità di battelli e barchette andavano vogando su e giù per l’acqua, poco lontano dalla riva.

Chi non si sarebbe stimato felice se la vita gli avesse promesso un avvenire bello come quel mare, sereno come quel cielo?

Ma il mare è un traditore, e il cielo è più traditore del mare. Sono due abissi imperscrutabili come il dimani che pende sul nostro capo. Guai al presuntuoso mortale che piglia confidenza colla serenità d’un cielo di primavera, che confida la sua povera navicella all’onda volubile senza premunirsi contro i pericoli della tempesta.

Una piccola nuvoletta, appena visibile verso occidente cominciò a salire e a ingrossare. Non era passata un’ora dacchè Cesare aveva fatto quel paragone, che già le stelle non si vedevano più: già s’avvicinava il rumore del tuono.