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capace di mandare a monte il matrimonio, magari a rischio di rimetterci de’ buoni chilometri di boschi e di vigne.

Disgraziatamente la cosa non poteva rimaner celata in eterno; anzi, una volta maritati, il conte Carlo e la contessa Ottavia non si curarono più di nascondere i loro sentimenti.

Il vecchio cominciò a essere inquieto. Ma si consolava ancora pensando che quelle tenerezze amorose erano semplice effetto della luna di miele, e d’un sangue giovane e ben nudrito.

— Prima non s’amavano certo, diceva da sè per far tacere il proprio turbamento; è un matrimonio che ho fatto io per forza di calcolo; possibile che il diavolo ci abbia messo la coda e che s’amino per davvero! —

Cesare nacque, e i due sposi s’amarono più di prima. Era una delizia a vederli. La signora Ottavia allattava il suo bimbo da sè; e Carlo raddoppiava di tenerezza e di cure.

Il conte, divenuto nonno oramai, pazientò ancora per qualche mese: era l’ebbrezza delle gioie paterne che esaltava il cuore del suo figliuolo, e bisognava lasciarla sfogare, dacchè la natura gli aveva fatto questo brutto tiro di dare a lui, uomo pratico e positivo, un figliuolo romantico e portato all’idillio.