Pagina:Speraz - Cesare, L'ultima notte, Autunno.pdf/55


— 51 —


Egli non piangeva il figliuolo, che di questo si sarebbe rassegnato assai facilmente, ma l’erede dei suoi vasti domimi, e l’ultimo rappresentante della sua nobile prosapia.

L’amore della famiglia non aveva mai avuto altro significato per lui.

Perpetuare il nome, allargare i possedimènti senza essere mai forzato a dividerli, quest’era la sua formidabile passione. Per questo, s’era relegato in quell’eremo, nel cuore d’una piccola provincia dimenticata, in mezzo a villani, mentre il suo titolo, le ricchezze e l’ingegno gli avrebbero permesso di vivere in una grande città fra genti civili. Ma in una grande città, anche spendendo tutte le sue rendite non sarebbe mai arrivato a mettersi in cima a tanti più ricchi di lui: là invece egli regnava assoluto: in tutta la provincia non c’era un possidente che potesse contendergli il vanto dell’immensa estensione di terre, tutte esenti da ipoteche, nè la nomèa di primo capitalista. Colla vita che faceva, e la catena corta a cui teneva legata la famiglia, non spendeva un quarto delle sue rendite; il resto andava in aumento dei capitali misteriosamente nascosti, o era impiegato nell’acquisto di qualche fondo limitrofo che rendeva sempre più vasto il suo patrimonio.