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e parenti. E il cappellano confuso e impapinato cercava indarno di attaccar discorso gettandosi nella politica o nella filosofia.

Meno male che dopo questo pranzo officiale e bisbetico, mentre il conte nonno ridiscendeva nella sua biblioteca al piano terreno per ricevervi una visita della sua famiglia della mano sinistra, le cinque ragazze e la mamma si ritiravano nelle stanze più riposte del secondo piano, dove potevano alla loro volta ricevere anch’esse qualche visita più divertente del cappellano, e improvvisare que’ soliti merendini conditi di gioia più schietta e di discorsi, tanto più espansivi e rumorosi quanto più lungamente erano stati repressi.

Il conte nonno nella sua avarizia contava le ova e teneva sotto chiave lo zucchero, il caffè e la seta da cucire: ma degli immensi granai pieni d’ogni sorte di ben di Dio, lasciava la chiave al capo-fattore, di cui si fidava come di se medesimo. E il capofattore era un uomo a modo e spregiudicato: la sua coscienza non poteva pigliar ombra per qualche sacco di farina e qualche corba d’uva, venduti di contrabbando d’accordo con la signora Ottavia, la vera padrona, tanto più che c’era sempre per lui il guadagno di qualche sensaria.