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Ci pensava invece il cavallo che non voleva saperne di andare avanti.
Bisognò obbedirgli e tornare indietro verso la città; ma appena arrivata vicino alle prime case, entrò sotto una tettoia tirata su per proteggere i lavori degli scalpellini che preparavano le pietre d’una nuova casa in costruzione: smontò, legò il cavallo a una trave, e si mise a sedere sopra un davanzale di finestra, non ancora terminato.
Tremava di freddo; aveva indosso il vestitino bianco della giornata, e lo scialle scuro, che s’era gettato sulle spalle per andare a spiare il suo amante nel bosco; e il vento che soffiava anche là sotto, pareva volerglielo strappar di dosso.
Oltre al freddo dell’atmosfera sentiva uno spasimo nervoso che le faceva battere i denti e rabbrividire. Non aveva ancora potuto piangere.
Era come impietrita.
L’uragano passò verso l’alba; il libeccio si calmò, contento d’aver rotto un paio di scalini a una delle scale di pietra che dall’alto della diga scendono fino all’acqua, e sconquassati alcuni lastroni del selciato.
Allorchè allo spuntar del giorno gli scalpellini si recarono al lavoro, furono ben sorpresi di sentire
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