Pagina:Speraz - Cesare, L'ultima notte, Autunno.pdf/135


— 131 —


Veramente?

Ohibò!

Un’altra vendetta le restava: insensata, inutile, ma che pur le pareva dover calmare l’animo traboccante d’odio: poteva, come la vipera, mordere il passeggero inocuo e ignaro del suo veleno.

Era bella, e sapeva d’esserlo: era morta nell’anima, splendida di giovinezza al di fuori.

Molte cose poteva.

Tutta assorta in questi pensieri funesti, Emilia non apriva bocca.

Avevano già fatta tutta la discesa in silenzio. Il servo non osava dire una parola che turbasse le riflessioni della sua signora.

La valle era tutta coperta dalle tenebre: ma la luna illuminava bizzarramente le roccia bianche di Castel Venere.

— Strana leggenda! pensava la fanciulla levando gli occhi a quell’altezza. Forse, la donna che abitò lassù aveva una vendetta a compiere.

E le ciniche insinuazioni del suo vecchio parente tornavano alla sua memoria, senza farle ribrezzo come una volta.

— Potrei sposare il signor Arturo, pensò. E perchò no? È ricco molto, e sufficientemente bestia, come dice mio zio. Sarebbe un buon marito.