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serbare l’acqua piovana, in larghe cisterne e vasche e fossati, e anche nei mesi dì luglio e agosto, allorchè su quella costa tutti patiscono un po’ la sete, egli ci aveva sempre dell’acqua limpida e sana per gli animali e per gli uomini.

Il suo rivale, il conte di *** più fortunato di lui e più ricco, ma non più previdente non possedeva, oltre la cisterna unita alla casa di padronato, altro che alcune sorgenti naturali sulle sue vastissime terre: la sua avarizia gli diceva che l’oro vale più dell’acqua.

Quella vasca, che i contadini chiamavano «il lago,» per distinguerla dall’altre assai più piccole, era un luogo molto caro LL’Emilia. Dalla parte dove il muro s’apriva a guisa d’un ferro di cavallo per lasciare il varco ai bovi e agli altri animali che scendevano allegramente la piccola china, sorgevano due alte quercie ricche di frondi che ombreggiavano quasi tutta la superficie dell’acqua. Dalla parte del muro invece tutto all’ingiro crescevano salici piangenti, pioppi e qualche rosaio. L’erba veniva d’un bel verde quasi in tutte le stagioni, e folta ch’era un piacere. Alcuni banchi di pietra disposti all’ombra, invitavano al riposo. Emilia ci aveva passate là molte ore della sua seconda infanzia triste e solitaria, e ci tornava sempre volontieri, tanto più