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L’organista, stanco di aspettare, intonò il solito pezzo della Gazza ladra, con grande rinforzo di pedali, e la voce fessa del vecchio istrumento empì la navata.

La messa uscì. Uscirono i turiferari squassando i turiboli accesi.

Cristina vide la bella figura di don Giorgio salire all’altare, in mezzo a una nuvola odorante, e il suo cuore balzò, e i suoi occhi non si staccarono più dalla superba apparizione. Erano quelli i momenti luminosi, inebrianti dell’amor suo. Per una serie di sensazioni acute, e non analizzate nè analizzabili, ella confondeva in una gioia suprema, la commozione di femmina innamorata e l’estasi di un’anima istintivamente mistica: la tenerezza e il profondo rispetto: il desiderio e l’ammirazione: l’uomo agognato e l’uomo-dio.

Pallido, ma sempre calmo e diritto, anche Sandro Rampoldi uscì finalmente dalla sagrestia, e le due donne che l’aspettavano con tanta passione, lo fissarono, ansiose.

Egli non guardò che la moglie, e le sorrise.