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Ma invano tentava di placare quella sua terribile nemica. Le portava il pane bianco di semola, il burro fresco per la pappa, il latte della capra, che il fittabile della Cascina Grande teneva nella stalla per salute dei cavalli. Spendeva fino all’ultimo soldo in medicine costose ordinate dalla magnetizzata, privandosi fin di quel poco vino, e riducendo sè e la moglie a non mangiare che polenta asciutta sera e mattina, e un poco di minestra mal condita con una goccia d’olio di linosa, nei giorni di festa. Invano.

Invano faceva tutto quanto un povero contadino suo pari poteva fare. Nulla giovava.

Virginia accettava i doni, esigeva i sacrifici; ma non aveva mai una parola veramente affettuosa. Che se qualche scintilla dell’antica fiamma si riaccendeva nelle sue viscere, non erano che ardori fuggitivi subito spenti da uno scoppio di collera, da un ritorno del malumore. E se mai la collera taceva e il cattivo umore non si ridestava da sè; erano gli assalti di tosse, i lunghi deliqui, che toglievano al povero Sandro l’ultima speranza di gioia.

Ad ogni occasione, ella ricominciava le sue