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parsi, e specialmente dacchè si buccinava che fossero marito e moglie, la bizza del medico si era quietata. Sposarla?...

Oh! no, davvero! Se quello era il patto, meglio niente. Ci voleva un curato di campagna, un novizio, per fare di quelle pazzie. Spretarsi per prender moglie? Rinunziare al principale vantaggio della professione!... E quando il dottore si trovava al caffè di Gel, o in qualche osteria col fittabile di Val Mis’cia, si sfogavano a ridere di quell’amore e di quel matrimonio; consolandosi così, a vicenda, dello smacco patito.

Da alcuni mesi tuttavia le cose erano cambiate. Il dottore non pensava più a Cristina, e se qualcuno gliene parlava, mostrava di giudicarla benevolmente. Finito il bruciore, la naturale bonarietà dell’uomo spregiudicato ripigliava il sopravvento.

Gli è che a poco a poco frequentando Maria, imparando a conoscerla, e, per il genere della cura, avendo occasione di vederla nella maggiore intimità, egli si era penetrato, quasi senza avvedersene, di quella bellezza positiva e ideale nel medesimo tempo.