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286 Sonetti del 1834

ER BIJJETTO D'INVITO

     C-a-cà, r-i-rì, ccarì, n-a-nà, ccarina,
V-e-vè, n-i-nì, venì t-e-tè, venite
D-o-dò, m-a-mà, domà, n-i-ni...[*] ssentite?
Me disce1 c’ho dd’annacce2 domatina.3

     S-o-sò, l-a-là, sola. Capite?
Monziggnore me vò,4 zzi’5 Caterina,
Sola, come sciannava6 la spazzina7
Prima c’avess’er posto a le Pentite.8

     Lui m’averà dda dì cquarche pparola
Che nun avete da sentilla9 voi,
Epperò scrive che cce vadi10 sola.

      Lassàtemesce11 annà,12 zzia mia, chè ppoi
Si mm’arigala13 ar ritornà dda scòla14
Ce spartimo15 er rigalo tra de noi.

16 aprile 1834


Note

* Vedesi a colpo d’occhio che alcuni fra’ primi versi di questo sonetto esprimono il metodo romano col quale si fa compitare le parole ai fanciulli, modo elementare di lettura adottato sovente per proprio disimpegno da persone di età più adulta, spezialmente del sesso gentile, non tutto versato assai addentro ne’ misteri del sillabario. Io però parlo del ceto, se non infimo affatto, neppur tuttavia primaio né secondario, ne’ quali due trovasi qualche coltura, almeno almeno dell’alfabeto e delle sue pertinenze. — Parendomi dunque opportuno il dir qualche parola sulla pronunzia di que’ versi, sì che ne risulti una connessione di suoni capaci di dar forma ad un verso, ecco qui appresso quel che ho immaginato di stabilire:

  1. Mi dice.
  2. D’andarci.
  3. D’andarci.
  4. Mi vuole.
  5. Zia.
  6. Ci andava.
  7. Mercantessa di cianfrusaglie.
  8. Reclusorio di donne di ex-mercato, o simili.
  9. Sentirla, per “udirla.„
  10. Ci vada.
  11. Lasciatemici.
  12. Andare.
  13. Se mi regala.
  14. Le crestaie, sartrici, ecc., che stanno a lavoro presso maestre,
    Dicono: “andare a scuola.„
  15. Spartiamo: dividiamo, ci partiamo, ecc.