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a giuocare. Questo scandalo, questa infame gesuitica istituzione, per la quale un re giuoca a guadagno sicuro co’ più miseri dei suoi sudditi, è spaventevole principalmente nella città di Napoli. Questo è il dazio più crudele, più scellerato, pagato dalla gente più povera; la quale sperando un guadagno, che è quasi impossibile, dà al Re anche il tenue frutto del suo mestiere, dà al Re quel pane che ei strappa dalla bocca dei figli. E il Re non si cura che il Lotto è stato abolito in tutte le nazioni colte e maledetto da tutti gli uomini che han timore di Dio, ma seguita a tenerlo nel suo regno per maggiormente corrompere questo popolo che egli ha avvilito ed imbestiato. Questo Re che si dice cattolico, che si confessa e si comunica, non si vergogna di dire a chi gli va a chiedere qualche cosa: Io non ho che darti: giuoca al lotto che Dio ti provvederà. O Dio santo e giusto, e perchè permetti tanta oppressura su i tuoi figli che gemono nel paese delle Sicilie? O Dio de’ Cristiani, abbi pietà di noi, e non farci più soffrire tanta vergogna. Nella Quaresima del 1847, in Napoli nella strada dell’Arco di Mirella, un castaldo del signor Luigi Rubino, accordatosi con altre dieci persone ed un prete, chiudono in una casa un cabalista, il quale, secondo l’opinione loro, sapeva certamente i numeri del Lotto: lo minacciano, lo tormentano, lo battono, lo collano in un fosso, dove lo costringono a cibarsi di paglia e di orina, ne lo traggono, gli fanno gocciolare lardo liquefatto sulla schiena, gli fanno altre pazze crudeltà. Il disgraziato or vuole persuaderli che non sa nulla, or dice numeri a caso, quelli giocano perdono, e infuriano contro di lui. Il prete credendo che il demonio non lo facesse tacere, si veste con la cotta e la stola, gli mostra l’ostia consacrata, lo esorcizza. Le grida del tormentato fecero scoprire gli stolti e feroci tormentatori, i quali imprigionati, confessarono ogni cosa. Ed ecco in qual modo questo giuoco, che uscì dell’inferno in compagnia de’ gesuiti, corrompe la morale, corrompe