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Il cholera 81


egli ha sospettato, ha detto: ‘ferma lá’, e quegli è fuggito come una lepre. Hanno guardato l’acqua, e v’era una materia bianca gettatavi da colui». «Sciocco! quando lo vedi fuggire, tiragli una fucilata, e fallo cadere. Se m’accade a me, io gli tiro al volo». «Per amor di Dio, no; voi ucciderete uno che ha piú paura di voi». Taluni che passavano per uomini di garbo ed a modo, dicevano: «Bisogna guardarsi, perché forse la peste c’è, ma c’è anche veleno, e in questi tempi sogliono piú facilmente esservi avvelenamenti per vendette private, e non si scoprono». «Piú difficilmente, amico mio, perché quando tutti corrono un gran pericolo ognuno pensa a salvare sé, e non insidiare altri». Era fiato perduto: credevano che era veleno, e se dicevi no, ti credevano avvelenatore, e guai. Qualche uomo ragionevole c’era, ma in mezzo a tanti che erano agitati da una strana paura, stimava meglio tacere, anche per non dare sospetti. E cosí mi tacqui anch’io, e li lasciai dire.

Intanto in molte parti la paura divento furore. In Siracusa, in Catania, in Cosenza, in Civita di Penne furono moti simultanei. Feroce in Siracusa, dove il popolo venuto in un pazzo furore uccise tutta la famiglia di un giocoliere di cavalli credendo portasse veleno, uccise l’intendente che tentava d’impedire quell’eccidio, e dichiarò decaduto dal trono un re che avvelenava i suoi popoli: in Catania non fu versato sangue, ma rovesciato il governo. A sedare questo moto di Sicilia andò il ministro Delcarretto, il quale creò le solite commissioni militari, e queste si messero all’opera del condannare, e fecero fucilare oltre dugento siciliani. Intanto egli per rallegrar egli animi dava feste di ballo, e mostrava ilaritá: e questo ad alcuno parve spettacolo piú crudele del cholera e delle fucilazioni. La Sicilia rimase atterrita: Siracusa per pena della ribellione fu privata dell’intendenza, che passò a Noto: e cosí l’antica regina della Sicilia fu ridotta a cittá capoluogo di distretto.

In Cosenza fu solamente un tentativo. Nei paeselli circonvicini si unirono parecchi armati che dovevano entrare nella cittá, dove avevano accordo coi prigionieri i quali ad ora

L. Settembrini, Ricordanze della mia vita - i. 6