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76 parte prima - capitolo x


grandi preparativi per la festa dell’Immacolata che si fa l’8 dicembre; e poi che ebbi letta la mia prolusione nel liceo, fui tosto invitato a fare da presidente a l’accademia che si doveva tenere in chiesa per quella festa. Non ci fu verso a scusarmi, Peppino mio fratello mi disse che se ne sarebbero offesi, dovetti pure leggere e scrivere un discorso sguaiato, e mi sorbii sino all’ultimo tutte le poesie che si recitarono: ce ne furono bonine, e ce ne furono da far spiritare anche il diavolo che sta sotto a la Immacolata.

Il liceo di Catanzaro era uno dei quattro del regno, nei quali oltre l’insegnamento letterario si dava il primo grado dell’insegnamento professionale, c’erano cattedre di diritto, di medicina, di chimica, d’agricoltura, e di matematiche sublimi, e ci si aveva la licenza: per la laurea poi si doveva venire all’Universitá.

Dopo il 1848 il Governo per non far raccogliere in Napoli molti giovani provinciali, messe in tutti i collegi l’insegnamento professionale, e li trasformò in licei, e li diede a governare ai padri gesuiti o agli scolopi, che mirabilmente impecorirono i giovani. Io mi messi ad insegnare con ardore e con amore a quei cari giovanetti, che essendo poco minori di me per l’età mi intendevano e mi amavano tanto. Poveri giovani! Ne ho riveduti parecchi nelle carceri e nelle galere con la catena al piede; e sono venuti a visitarmi nell’ergastolo. I frati non li fanno questi allievi.

Il rettore mi disse che gli alunni del liceo due volte l’anno solevano far un’accademia nel giorno del nome e nel giorno della nascita del re, cioè recitare versi italiani, latini, e greci in lode di Sua maestá; e che tutti quei versi doveva farli io professore di rettorica, perché gli alunni non sapevano, e gli altri professori non avevano questo debito. Mi sentii rovesciata addosso una pentola d’acqua bollente; non sapevo di aver quel dovere, e da adempierlo subito, ché tra pochi giorni sarebbe venuto il 12 gennaio 1836, in cui re Ferdinando compiva il suo ventesimo sesto anno. Mi dibattei come un cavallo selvaggio preso al laccio, e mi sentiva avvilito innanzi la mia