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22 parte prima - capitolo iv


Io mi strinsi naturalmente con pochi che piú mi piacevano per coltura e per modi gentili, e facemmo una brigata di giovanotti di buon umore, buon appetito, pochi quattrini, e molti versi. Di rado o in canzone si parlava di Giustiniano: per lo piú si recitava poesie, io declamavo i Sepolcri del Foscolo, e ripetevo le intere lettere di Iacopo Ortis, qualche altro ragionava sempre dell’Alfieri, e ne recitava qualche scena, qualcuno usciva a parlare d’una bella fanciulla, tutti a dire quel che viene viene, anche spropositi. Spesso s’entrava in politica e diventavamo seri, ma la politica sottovoce, e passeggiando in campagna, e guardandoci bene attorno, perché correvano brutti tempi, e la polizia stava piú cagnesca del solito sopra gli studenti per la rivoluzione stata allora nella provincia di Salerno.

I tre fratelli Capozzoli, possidenti in Bosco, terricciuola in provincia di Salerno, perseguitati come carbonari, si erano tenuti per sei anni in campagna, difendendosi da bravi, e acquistando fama di gran valore. I liberali di quella provincia e delle vicine, udito un cangiamento di ministero avvenuto in Francia in quell’anno 1828, e fondatovi non so quale speranza, credettero tempo opportuno a fare un movimento, e strumenti opportuni i Capozzoli. Prima in Bosco, poi in altri paeselli vicini fu gridato «Costituzione», e, come se la fosse ottenuta e assicurata, fu cantato il solito Te Deum; ma il movimento non si sparse perché le popolazioni non vedevano di buon occhio i Capozzoli, i quali avevano fatto di quelle cose che suol fare chi tiene le armi in mano per tanto tempo; e perché eran pochi, e senza accordi buoni. Tosto re Francesco mandò a furia con ordini severissimi il brigadiere Delcarretto a capo di alcune centinaia di gendarmi. Costui distrusse a colpi di cannone il villaggio di Bosco giá deserto d’abitanti; ed incarcerati quanti gli capitavano rei o sospetti, li fe’ giudicare da una commissione militare da lui stesso nominata, la quale ne condannò a morte ventidue, e una sessantina a la galera: ottanta ne furono carcerati in Napoli come complici, e sette condannati nel capo. Per questo servigio