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tre giorni in cappella 239


amico, confortava gli altri; ma poiché vidi che il dolore e le lagrime crescevano e che qualcuno avrebbe potuto goderne, dissi al custode: «Apri. Addio Michele, addio tutti». E seguito dagli altri due entrai nell’estra-cappella. Erano due ore e mezzo dopo il mezzodí.

3

L’estra-cappella è una stanza oscura, che a destra ha la cappella chiusa da una porta, ed a sinistra prende lume da una stanzetta piú alta, che ha una finestra sporgente nel cortile. Alle pareti di questa stanzetta stanno appiccate con midolla di pane varie figure della vergine e dei santi, innanzi alle quali arde una lucerna posta su di un pezzo di legno conficcato nel muro. Qui stanno i condannati a morte. Entrati in questa stanzetta con quattro custodi, ed alcuni prigionieri serventi detti chiamatori, io dissi ad un custode: «Se devi ricercarmi le vesti, fa pure». Egli si confondeva, non sapeva che fare, non voleva pariare. Poco dopo entra don Ciccio, il custode maggiore, e con le lagrime agli occhi ci dice: «Dovete spogliarvi e rivestirvi dei panni del fisco. Non vi turbate, perché è una formalitá. O Dio, che debbo io fare ed a chi». Ci spogliarono di tutti i panni, e lasciateci solo le calzette e le scarpe, ci vestirono di una camicia, di un paio di calzoni e di una giubba di tela bionda, aspra di stecchi, e puzzolente di canape. Io per caso mi trovai in una tasca una letterina scrittami dalla mia Giulietta, la mostrai al custode maggiore, e risoluto gli dissi: «È una lettera di mia figlia, voglio ritenerla, Morirò con essa in mano.» Ei rivolse la faccia e mi disse: «Ritenetela». Io me la riposi sul cuore. Ci fecero sedere a terra, ci posero le pastoie delle traverse, e le ribadirono con aspri colpi di martello; pesavano piú di dodici rotoli, non ci facevano muovere un passo senza essere sostenuti, e con un fazzoletto tenevamo sospesi i grossi perni che dolorosamente pesavano su i talloni. Dimandammo i nostri mantelli per difenderci dal freddo: ci portarono mantelli di