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XIX

Il 1847.

La stampa romana pubblicava ogni parola del nuovo papa, descriveva le feste che gli faceva il popolo guidato dal suo Ciceruacchio, e parlando parole di libertá e di amore moveva tutti i cuori. Quelle stampe volavano per tutta Italia. In Toscana, dove era stato sempre un governo mite, gridando: «viva Pio IX» si ottenne una certa larghezza nella stampa, e si cominciò a pubblicare giornali che avevano bei nomi: l’Alba, la Patria, l‘Italia, e bandivano nuove idee e nuove speranze: in Piemonte, specialmente nella fiera Genova, cominciò a pubblicarsi Il Contemporaneo, nel quale si dissero cose che quel governo un anno prima aveva severamente vietate e punite. Noi altri in Napoli a leggere quei giornali, a udire i racconti che ne facevano coloro che tornavano di Roma sentivamo una stretta al cuore. E i romani davano ai nostri molte spronate: «Che fate voi altri napoletani? perché non imitate toscani e piemontesi? Ferdinando è duro: e voi non avete fegato voi, non avete animo di scoparlo?» Ferdinando diceva, e il Delcarretto fece stampare la regal frase nel giornale uffiziale, che egli non voleva «imitare nessun politico figurino di moda»; e tra i suoi ripeteva: «Stavam cosí bene, e questo pretarello ci ha guastato ogni cosa». Intanto da per tutto si parlava del papa, e quantunque egli in una sua bolla dicesse di non avere le intenzioni che gli si attribuivano, pure i popoli o non capivano, o fingevano di non capire, e per spingerlo a maggiori cose lo lodavano e lo benedicevano. Tra noi la polizia diveniva piú feroce, spiava, incarcerava, tormentava; e guai a chi avesse ricevuto lettere o giornali dall’Italia superiore. Taluni meditavano stringersi in segreto per operar qualche cosa; ma altri li biasimavano come uomini di vecchie