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la fanciullezza 7


chiuse tutti i vetri. Mia madre poi mi contò lo strazio veduto, un uomo legato sopra un asino, con le spalle nude, la mitera in testa, circondato da soldati tedeschi, battuto dal boia. Era il supplizio che il Canosa dava ai carbonari. Non ho dimenticato mai quel suono di tromba, quel grido, e mia madre per terra.

La sera venivano a visitare mio padre alcuni pochi amici, e con lui s’intrattenevano a ragionare: fra gli altri era un certo don Scipione Laurenzano che mi voleva un gran bene, e aveva una buona e brutta moglie, donna Cecilia, la quale mi dava sempre zuccherini e baci, ed io per quei zuccherini qualche bacio le rendevo, ma ad ogni cento de’ suoi uno de’ miei. Il dabben uomo fu privato anch’egli d’un suo uffizio, e si lamentava, e una sera diceva: «Hanno detto che io fui in chiesa con la fascia: questa è calunnia: io ci fui ma senza fascia». A questo io salto in mezzo e dico al mio don Scipione: «Sissignore, l’avevate, e mi deste a me la coccarda». Mio padre impallidí, mia madre si levò, e afferratomi per un braccio mi condusse in un’altra camera, e mi sgridava che i fanciulli non debbono parlare se non dimandati. «Ma io ho detto la veritá». «Zitto, figlio, ché tu lo faresti impiccare». E mi metteva la mano su la bocca. Capii che avevo fatta una cosa grossa. Per questa scappata affrettarono il disegno di chiudermi nel collegio di Maddaloni, che è a tre miglia da Caserta. Avemmo una trista novella: il fratello di mia madre, Giuseppe Vitale, uno dei primi che gridarono la costituzione a Monteforte fu condannato a la relegazione e spedito all’isola di Pantelleria. La buona mamma non se ne poteva consolare.