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122 parte prima - capitolo xv


ad essi le reliquie del nostro pranzo, e vedevamo la guerra che si faceva tra loro per chiapparle. La notte non si dormí, perché non c’era dove poggiare il capo, e i materassi stavano sopra un tavolato, dove i topi ballavano. Si passò fumando: e io ebbi brividi di freddo e febbre. Il mattino appresso col custode discesero in quel criminale mio fratello Peppino, e Rosario Anastasio fratello di Raffaele ed uomo di ottimo cuore, e avevan le facce come due cadaveri. «Oh, che cosa è? noi stiamo bene, e ci divertiamo coi topi. Finalmente qui non si stará che una decina di giorni: noi siamo abituati a tutto, e staremo anche qui, ma Luigi è ammalato, e può aggravare. Chiedete che sia messo col Ricciardelli nella stanza del custode». «No: se non usciremo tutti di qui, io non uscirò io solo». «Ma tu sei ammalato». Peppino e Rosario andarono dal procurator generale il quale ordinò in iscritto che io passassi nella stanza del custode, e gli altri in altra stanza che si potesse avere dal comandante del castello. Io subito fui condotto nella stanza di don Camillo, dove conobbi il buon Ricciardelli. Andarono dal generale Selvaggi, il quale concesse una buona stanza nel secondo piano in cui furono messi i compagni. Cosí io stetti una giornata nel Coccodrillo, e i compagni quasi due giornate. Come io entrai nella stanza del custode e mi feci a la finestra senza cancelli che guarda sul porto militare, come io sentii l’aria e l’odore del mare, e tutta la persona mi riscaldai al sole, io ebbi un gran sollievo.

Eccoci innanzi a la commissione di stato, che sedeva intorno ad una gran tavola con tappeto verde. Il presidente in mezzo: a sinistra il consigliere Donati Laudati, il colonnello della Spina di marina, il colonnello Gullo de’ granatieri, il cancelliere: a destra il consigliere Gregorio Morelli, il consigliere barone Cesidio Bonanni, il Marcarelli, il Crispi, il procurator generale De Luca. Noi in fondo della stanza sopra uno scanno, poggiato al muro, guardati da gendarmi. La porta della sala chiusa a tutti, e guardata di fuori da altri gendarmi, tra i quali non mancava l’onesta faccia di qualche nostro parente che stava lí non per udire, ma se mai v’era un biso-