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cessione del veneto. | 45 |
stati ancorchè non se ne parlasse. V'era doppio pericolo, sanitario se le truppe partivano, di disordine se si lasciava la città senza truppe.
Ripetei a Venezia quanto avevo già fatto a Napoli nel 1861 pel tifo nei capitolati di Gaeta che bisognava ricoverare in Napoli.
Ricorsi al dott. Giacinto Namias, il più rispettato dei medici della città. Gli esposi genuinamente la situazione ed i vari pericoli emergenti, e gli comunicai i rapporti sanitari della Divisione.
Bima a Napoli dichiarò alla commissione sanitaria che il tifo non era nè petecchiale, nè contagioso. Namias dopo maturo esame, espresse il parere che i casi di colera non erano asiatici, ma sporadici; che il morbo era nel suo declinare, e quindi poco pericoloso.
I giornali annunziarono che il dott. Namias per incarico del generale di Revel, accompagnato dal dott. Bixio, aveva visitati tutti i locali militari che riceverebbero la truppa; aveva disposto per tutte le precauzioni necessarie e preventive; erasi preparato un conveniente locale di segregazione ed osservazione, qualora si avverasse qualche sospetto; gli accantonamenti attuali delle truppe erano stati disinfettati, e si farebbero suffumicazioni preventive al momento della partenza.
Gli uomini più influenti furono da me addottrinati convenientemente, e gli animi rimasero tranquilli. Come Dio volle, non vi fù nè paura, nè pericolo, nè danno. Mentre a Napoli morirono di tifo curanti e curati, ma non se ne fece parola.
Noterò che non ero indifferente nella questione, poichè avevo con me la mia famiglia che mi aveva raggiunto dalla Mira.
Avvedutamente nominossi uua commissione, la quale ben a ragione, pubblicava: Non valere lo spargimento del cloruro di calce, se non si distruggevano le fetide esalazioni col ripulire abiti ed alloggi.
Ricasoli mi autorizzò a versare L. 2000 alla Giunta pei lavori ordinati dalla Commissione.
Questa paura del colera produsse anche difficoltà pel rimpatrio dei soldati appartenenti al Veneto che stavano nei reggimenti austriaci. Il ritorno di tanta gente, in un momento in cui si temeva l'incrudelire di una epidemia, era pericoloso. Il Governo nostro voleva differirlo, ma l'Arciduca Alberto nauseato dall'indisciplina di questi individui, che