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32 capitolo secondo.

spose che aderiva, ma che Lebœuf protestava violentemente contro tale cessione, fatta senza di lui! Egli, secondo i diplomatici, doveva usare ogni maggior riguardo alla dignità sovrana del Re d'Italia, ed invece si oppose furiosamente a tale transazione che sarebbe stato il massimo dei maggiori riguardi.

Combinai col podestà Betta, andando al municipio e parlando coi priori di alcune professioni, per assicurare la tranquillità pubblica. Lebœuf per vendicarsi mi scriveva che per ordine del suo Ministero, doveva pregarmi di sospendere l'ingresso dei nostri distaccamenti, e divagava sopra articoli di giornali relativi alla presa di possesso di Venezia.

Gli telegrafai che protestavo pel contrordine chiesto, e più ancora pel ritardo della cessione, la quale, secondo i patti, doveva cominciare il 7. E gli scrissi che non badavo alla stampa. Ero certo ch'egli trovava, al pari di me, irragionevole il sospendere l'ingresso dei distaccamenti, riconosciuto dai 3 Commissari indispensabile, e ne avrebbe persuaso il suo Ministero. Partendo da Verona ebbi cura di far conoscere il veto apposto da Lebœuf alla consegna della fortezza, onde moderare gli entusiasmi pella Francia. Ebbi un bel fare per trattenere i Volontari dal venir commettere disordini nelle città del Veneto. Pepoli ed Allievi li favorivano con fogli di via. Ottenni da Cialdini alcune restrizioni, e da Ricasoli, reluttante, consigli di riserbo ai Regi Commissari, e difesa di fogli di via a chi non era nativo della città.

Anche pei disordini di Verona, Ricasoli mi diede ragione, scrivendo che se avesse ricevuta mia lettera, non avrebbe scritto in tali termini al podestà di Verona. Questa resipiscenza non solita nel Barone mi lusingò non poco.

Deciso ad agire scrissi a Pepoli che, d'accordo col Governo (?), non dasse più fogli di via ai Volontari da Padova a Venezia, ma un'indennità di soggiorno. Egualmente d'accordo supposto col Governo a Cialdini perchè mandasse guardie alle ultime stazioni ferroviarie, onde non lasciar proseguire chi vestiva la camicia rossa, la quale era un uniforme di cui si poteva proibire l'uso indebito.