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32 | scritti di renato serra |
nel ciocco: delle formiche, a cui brucian le case e che vedono, per gli spiragli del legno ardente, la veglia dei contadini intorno al focolare, come un concilio di divinità. E forse il rapporto dell’essere infinito e misericordioso con l’uomo che lo prega non è diverso da quello dei passeri con l’essere adorabile e tremendo, che sparge per loro il grano nei solchi e poi nella sua ira li stermina fin sulle cime dei pioppi. Di tutto questo il Pascoli è conscio; conscio della vanità delle illusioni più care alla fantasia e al cuore, dei miti greci e delle immaginazioni cristiane; conscio anche di ciò che la vanità e la nullità rendono quelle cose del passato più amaramente dolci. E nei Poemi Conviviali, e in genere in tutta la poesia della sua nuova maniera, egli esprime quella coscienza che è fatta insieme angoscia e voluttà.
Il viaggio di Ulisse in cerca delle sue illusioni è il viaggio stesso del poeta su questo abisso della sua anima: ed è anche, se io non erro, una delle cose nobili e alte nella nostra poesia. Io leggo la cetra d’Achille, Anticlo, Psiche, il Ciocco, il Tripode, e mi pare che il velo delle apparenze ingannevoli si sgombri dai miei occhi e che la terra si stenda intorno a me brulla, in un silenzio severo: non resta di tutto il tumulto del mondo se non un’ansia di piccole creature nude, destinate alla morte; e cade del loro vano agitare ogni ragione, e solo si trova un senso nel raccogliersi gli uni presso gli altri aspettando la raffica; o nel bere la dolce ebbrezza che involava a se stesso Achille sulla pelle di lion rosso, che empiva di rosea luce la papilla morente di Anticlo.
Poi gli occhi mi scorrono in alto; e vedo, (come vedeva qualcuno sul dorso del Vesuvio al lume delle stelle) nell’aria fredda il brulichio degli