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194 scritti di renato serra»


«Una ilarità unanime propagavasi nelle cose. Per molti anni La Bravetta diede al popolo pescarese questo giocondo segnale cotidiano; e la fama delle sue meravigliose starnutazioni si sparse per il contado intorno e per le terre finitime. Ancora tra il buon volgo la memoria ne è viva e, fermata in un proverbio, durerà lungamente nei tempi a venire».

Questi periodetti staccati dal loro luogo prendono improvvisa luce. Essi sono deliziosi e inutili: composti senza nessuna fatica, per un naturale abito di dir bene, non hanno poi nessun valore che duri.

Ed è perfettamente inutile domandare se quell’accento magnifico prestato a cose umili, abbia un senso urbanamente comico, o se sia invece un tradimento retorico. Ogni sospetto è fuor di luogo in questo terreno perfettamente levigato e scoperto. Tutte le formule grandi, l’ilarità unanime, il giocondo segnale, le terre finitime e i tempi a venire, in cui pare che la vanità dell’abitudine e dell’esercitazione scolastica si riveli più fredda, non dànno già noia, se si seconda un poco il ritmo spazioso che le ha menate.

Bisogna leggere così, senza amore e senza odio, apprezzando la perfetta bontà della materia, quasi senza badare alla forma.

Quando si incontrano delizie ce le godremo. E degli strascichi e delle fiacchezze non faremo nessun rumore. Il buono è naturale come il cattivo: e dell’uno e dell’altro lo scrittore è quasi innocente.

Tutto il ritratto di Peppe, che segue, è una meraviglia di pittura pacifica. E un pezzo riuscito bene. Ma non ha relazione con il discorso successivo altro che estrinseca. Scrivendo così, o trascri-