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184 scritti di renato serra

abruzzese, nelle battute del dialogo rusticano, che per contrasto col discorso precedente suonerà franco e schiettissimo: poi sopravviene il modo di descrivere con tocchi brevi, quasi impersonali e di scorcio, abbandonati senza enfasi in mezzo alla narrazione tranquilla, che si illumina tutta.

(«Stettero quindi in ascolto. Un gallo d’improvviso cantò e altri galli risposero dalle aie, consecutivamente. Allora i due....». «Nella serenità il miagolìo dei gatti presi d’amore saliva ad intervalli. E il Ristabilito fece....»; sapete che così fanno quei maestri: il lettore s’incanta dietro quel canto o quel miagolio che pare tanto inutile quanto naturale. E l’illusione poi seguita. Oppure i particolari della visione si trasportano insensibilmente quasi negli occhi del personaggio, e ci pare di essere nei suoi panni: «uscì sul pianerottolo, stropicciandosi gli occhi per meglio guardare. Sulla tavola non rimaneva se non qualche macchia sanguigna, e sopra vi rideva il sole». Così nasce l’impressione del vuoto, del porco scomparso).

Ma senza andar dietro all’analisi astratta si possono mostrare le figure che il D’Annunzio ha cavato sane sane dalla stampa francese. Ciàvola e il Ristabilito, che tengon nell’azione le veci dei compagnoni del Boccaccio, rappresentano poi la immagine esatta di Maillochon e Labouise, da L’âne: il concilio dei rustici è cavato dalla Ficelle e dal Baptême, insieme con altri particolari minori, che potranno esser numerati più curiosamente da chi si pigli diletto di tali cose.

Ciò a noi ora importa meno. Poichè sentiamo anche che il realismo non è nel D’Annunzio cosa essenziale. Egli ha adoperato la formula del Maupassant, così come la invenzione del Boccac-