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98 | scritti di renato serra |
allora pubblicamente sulla «Romagna» (Forlì). Ho lasciato che si ristampassero oggi quasi senza mutazione.
Con che non si dice ch’io ne resti contento oggi. Se dovessi scrivere ancora sullo stesso argomento, scriverei diversamente, credo; ma mi è piaciuto di non turbare questo piccolo episodio del mio passato.
Correggere era poco sincero; rifare mi sembra inutile. Al più, per scrupolo di sincerità, mi proverò di riassumere in poche parole l’impressione che queste bozze di stampa m’hanno suscitato passando sotto gli occhi in fretta.
Quando scrivevo del Pascoli, scrivevo più per me che per il pubblico; cercavo di veder chiaro in me stesso, in qualche punto che m’era buio e ansioso.
Il Pascoli era stato un grande amore della mia giovinezza romagnola, turbamento e delizia del cuore; parlo di molti anni fa; e avevo anche provato più d’una volta a render conto per iscritto di quelle che mi parevano qualità e novità del suo canto (mi par di riconoscere, nella seconda parte, qualche pagina ripresa da quegli appunti vecchi). Poi era sopravvenuta la stanchezza e il dubbio; e un franco dispetto delle cose ultime; quanto era cambiato lui, e insieme anche i miei studi: ciò si aggiungeva all’affezione antica, alla abitudine di rileggere e di ricantar certi versi, senza cancellarla.
Tutto questo era in me come una confusione, che avevo bisogno di chiarire e di sciogliere. Non mi domando se ci sono riuscito; ma ritrovo quello stato d’animo nella incertezza del mio discorso, diffuso, che tenta il suo soggetto da molte parti e non si risolve per nessuna; anche l’asprezza di certe parole e la insistenza di certe riprese ha quella origine.
Ogni scriverei con meno passione. Non che il problema letterario e morale di quell’uomo mi sembri fatto più semplice; ma non mi inquieta.
Mi piacerebbe di assomigliare in questo alla gente che verrà fra pochi anni. I quali sceglieranno da molti volumi poche pagine, e le terranno care; e del rimanente non discuteranno nemmeno.
Ma forse mi sbaglio. Certo su me oggi opera fortemente l’impressione di questi ultimi tempi, di tante cose brutte, vane, noiose, che egli ha detto e fatto; anche l’uomo è cambiato da quando lo vidi la prima volta, nella folla dei funerali di Carducci, e mi apparve proprio come