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68 | scritti di renato serra |
fanciullo muto e assorto, in qualche parte più selvatica della nostra terra, dove il monte è più aspro, dove la pineta è più folta. In quei luoghi, fra gli uomini d’aspetto e di parola rude, che sorgevano intorno a lui come ombre gigantesche, egli vide ciò che dal cuore non gli doveva cadere mai più. Fuggiva quel mondo agli occhi del giovane, dell’uomo usato oramai nelle città alla vita comune, ma dentro glie ne restava l’oscura visione, glie ne cresceva il desiderio.
Gli toccò forse — e qualche traccia ne traluce dalle sue pagine — una giovinezza solitaria e chiusa? In cui gli ardori dell’animo o dei sensi lo consumarono silenziosi e segreti, in cui l’uso e l’esperienza delle cose reali gli mancò, e realtà per lui fu quella che il violento desiderio gli tingeva?
E forse il mondo interiore gli scemava voglia e potere di mescolarsi al commercio comune; e forse il senso della sua solitudine in mezzo al mondo reale lo spingeva a esaltarsi più fortemente nella visione interiore; e tutti gli impeti e le forze del suo sangue e della sua giovinezza erano dentro lui come mi fuoco, che in quelle fantasie consumava oscuramente il suo caldo e i suoi bagliori.
Tutto questo gli cresceva dentro una piena di lirismo tanto più torbida e bollente quanto più il silenzio e la solitudine valevano a far fioca la voce, che avrebbe dovuto sfogarlo.
Alle quali disposizioni e qualità dell’artista se s’aggiunga che molto probabilmente egli non ritrovò se stesso, con lenta e tranquilla ricerca, nella consuetudine di una cultura vera; ma forse si riconobbe, con improvviso stupore, nello specchio delle più vili scritture moderne, nelle prose