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62 | scritti di renato serra |
dire, al più, che egli ha messo, per bizzarria, nomi romagnoli a certi sfoghi tra lirici e romantici e fantastici del suo animo riscaldato dalla lettura. E forse avrebbe potuto con effetto più verisimile collocare le sue finzioni nelle praterie, dove vivevano un tempo gli eroi di Fenimore Cooper o di Gustavo Aimard; c’è tanta somiglianza fra quei poetici Pelli-rosse e le tribù beltramelliane!
Viso, nomi, costumi, mitologia, linguaggio, pose e fioriture fantastiche; senza i moccassini e il ciuffo delle penne in capo, ci sarebbe da scambiarli.
Se non che il poeta nelle sue creazioni è libero. Ha voluto servirsi del nome di Romagna? E Romagna sia.
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A patto, s’intende, che non s’abbia a prender sul serio, come una testimonianza della nostra terra bellissima e cara. Chè testimonianza non v’ha in ciò d’altro che della infelicità dello scrittore, della sua insufficienza a osservare e rappresentare nettamente.
La realtà gli sfugge. Delle cose resta nella sua mente solo un’ombra informe, una impressione vaga e astratta. Egli s’affatica a realizzarla; se così posso dire, vorrebbe esprimerla in tutta la pienezza; e non riesce ad esprimere se non lo sforzo suo vano e la pretesa e l’impotenza.
Egli è sempre e sopra tutto un poeta tradotto in prosa, come dicevamo, inadeguatamente.
Il lirismo oscuro della sua anima, i suoi ar-